Approfondimento delle letture della liturgia
Profundización de las lecturas de la liturgia
Poglobitev Božje besede

[SEMI] Ascensione del Signore (Anno A) 2

Oggi è la solennità dell’Ascensione in cielo del nostro Signore e Salvatore.
Nel Vangelo che abbiamo sentito, non si parla di Ascensione. Al massimo possiamo dire che si tratta di un congedo, e anche questo sui generis.
Cristo dice chiaramente; “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
Infatti, in questo tempo pasquale, Cristo ci ha spiegato la vita nuova, cioè la vita da risorto, e ha messo la relazione d’amore al cuore della nostra nuova esistenza in Lui, cioè della nostra vita in Cristo, della nostra vita battesimale, la relazione da “figli nel Figlio” con il Padre. Questa è la novità della nostra esistenza.
Infatti, lui dice: Vado dal Padre e vengo da voi. Vado al Padre, venendo da voi (cf Gv 14,12.18).
E la solennità di oggi afferma il suo ritorno al Padre e il suo rimanere con noi tutti i giorni “fino alla fine del mondo” (Mt 28-20), quando Lui con il Padre si manifesterà come “tutto in tutti” (1Cor 15,28).

In questo congedo ci consegna una missione molto interessante.
 Da risorto, Cristo non chiama, ma manda.
All’inizio della sua missione chiama a seguirlo, a stare con lui. Ma dopo la risurrezione ci invia ad annunciare e a rendere testimonianza.
Nella Pasqua la maggioranza dei discepoli lo abbandona.
Lui li ha chiamati per “essere con lui”, ma quando entra nel Triduo pasquale lo abbandonano.
Ora, dopo la risurrezione, lui non chiama più, ma manda.
All’inizio invia solo quelli, anzi “quelle” – perché sono donne –che sono rimaste con lui.
Ad esempio, invia Maria di Magdala a portare l’annuncio ai suoi fratelli.

Anche Matteo, nel capitolo da cui è stato preso il brano odierno, fa vedere le donne che incontrano il Risorto, lo riconoscono, lo adorano e ricevono la missione: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno” (Mt 28,9-10). 
Evidentemente, non è sufficiente vederlo.
Infatti abbiamo sentito che “essi dubitarono” (Mt 28,17). Bisogna credere, accogliere il dono vero, che è la sua persona: accogliere Gesù Cristo Figlio di Dio, “vero Dio e vero uomo”, per poter partecipare alla sua stessa vita.

La missione, infatti, come spiega molto bene Alexander Schmemann, ha il suo fondamento nell’esperienza della Pasqua, nel passaggio al Regno del Padre nei cieli.
La fede ci rende partecipi di Cristo, cioè del compimento dell’amore, che lo Spirito Santo versa nei nostri cuori (cf Rm 5,5).
Cristo è la via, Cristo è il modo in cui si realizza l’amore e questo amore non viene dalla nostra natura, ma ci viene donato dallo Spirito Santo.
Come si realizza?
Non dipende dalla nostra visione e dalle nostre idee, ma è Cristo la piena realizzazione dell’amore tra Dio e l’uomo e tra l’uomo e Dio.
Si tratta di partecipare al modo della realizzazione dell’amore.
Questo è il discrimine tra la fede vissuta e la fede pensata.
Partecipando a Cristo, si partecipa al suo modo di realizzare l’amore, che è il dono ricevuto. Non sono io che mi realizzo, ma il dono ricevuto e accolto mi realizza, e il modo di realizzare l’amore è il triduo pasquale.

Infatti, ai discepoli di Emmaus Cristo rimprovera la “stoltezza”, cioè un’intelligenza che non ragiona secondo Dio e la “lentezza di cuore”, perché si sono fermati alla morte, al fallimento (cf Lc 24,25-27).
Infatti, agli occhi del mondo, Cristo era un fallito.
Qui si vede la classica differenza tra la religione e la fede ecclesiale.
Non avendo un’esperienza – e dunque un’intelligenza che continuamente si rinnova in Cristo (cf Rm 12,2) –, ci si ferma alla morte e si comincia a filosofare, a idealizzare su come superare la morte.
La via più facile è certamente quella della ragione autoreferenziale, che consiste nel pensare un mondo ideale, secondo un’idea religiosa, e fare secondo questa idea.

Secondo questa visione, alla fine della vita si viene premiati, anzi “pagati”, per i nostri impegni moralistici e i nostri sacrifici religiosi, con la vita eterna.
Siccome mi sono impegnato, adesso ricevo il premio della vita eterna.
Questo fa dimenticare la vita nello Spirito Santo e la sapienza spirituale.
Si è totalmente perduta la sapienza spirituale.
Siamo tutti testimoni che continuano a susseguirsi varie teorie e varie metodologie, ma si perde la sapienza dello Spirito Santo.
Si preferisce parlare della realizzazione di noi stessi, ma da stolti, perché non abbiamo esperienza in Cristo che la realizzazione dell’uomo è il dono gratuito di sé, cioè il perdere la propria vita a causa del Signore.
Questo non è più nel nostro messaggio e nella nostra testimonianza (cf Mc 8,35).
Cosa proponiamo oggi alle persone, al mondo di oggi?
In cosa consiste la novità dell’annuncio cristiano se siamo uguali al mondo, e con il mondo guardiamo verso la tomba, verso la fine, cercando come andare oltre?
In noi non si nota che siamo già passati oltre, che siamo già risuscitati dalla tomba, cioè dalla piscina battesimale.
Questa è la tragedia del cristianesimo contemporaneo.
Noi discutiamo, e anche il mondo discute con noi, sulle idee, ma nessuno sembra vedere la testimonianza dei cristiani, cioè che noi siamo in grado di far vedere come si vive oltre la tomba. Anche devozioni come la Via Crucis, se non inquadrate bene, possono prestarsi ad essere espressione di una spiritualità che finisce con la morte, cioè con la sepoltura. Ma non è possibile separare la passione e la morte di Cristo da ciò che è il loro senso: la redenzione dell’uomo reso figlio di Dio Padre che si risveglia da risorto nel battesimo.
La missione consiste nell’annunciare da testimoni che il compimento della croce è la risurrezione, che l’uomo si compie attraverso la vita, che è costituita come relazione d’amore.

L’uomo si compie solo relazionalmente, e relazione significa essere fondati nell’amore.
È attraverso il dono di sé che l’uomo si realizza. Ciò significa morire a se stessi, rinnegare se stessi come affermazione di sé (cf Mt 16,24). 
Bisogna morire a questa impostazione, e questo vuol dire andare oltre la tomba.
È proprio morendo a se stessi che si va oltre la tomba.

E questa non è una questione di intelligenza e di argomentazione intellettuale, ma una testimonianza della vita personale. 
Allora la missione è testimoniare questo passaggio, è vedere la morte e il morire già da risorti.
La realizzazione dell’amore è il triduo pasquale. Infatti, la liturgia del triduo pasquale mostra che la liturgia eucaristica del Giovedì santo, quella dell’Ultima Cena, si conclude con la liturgia eucaristica del Sabato santo. C’è un’unità indissolubile dal Giovedì santo al Sabato santo, perché ciò che svela il mistero è la domenica mattina, il giorno della risurrezione.
Non è possibile separarli in nessun modo. Solo attraverso l’unità di questo mistero, solo a partire dal Risorto, si comprende il senso del Venerdì santo.
Proprio il Triduo pasquale attuale, così come è stato articolato accogliendo, all’interno della riforma postconciliare, il rinnovamento operato da Pio XII, rende tutto questo manifesto.

L’eucaristia si rifà all’Ultima Cena, cioè al Giovedì Santo. L’Ultima Cena non solo contiene, ma manifesta l’ingresso nel regno attraverso il dono di sé, il sangue versato di Cristo. Ogni Eucaristia ci fa fare il passaggio pasquale dove si ha una conoscenza attraverso l’intelligenza della vita nuova che il senso del sacrificio di Cristo, il suo dono, è risuscitare da figli e conoscere il Padre. Dall’Eucaristia si viene con la missione affidataci nell’esperienza del Risorto dei figli nel Figlio, nell’amore del Padre.
Allora la nostra missione parte da questa visione, dall’esperienza della Risurrezione.

 

SEMI è la rubrica del Centro Aletti disponibile ogni venerdì.
Ogni settimana, oltre all’omelia della domenica in formato audio, sarà disponibile sul sito LIPA un approfondimento delle letture della liturgia eucaristica domenicale o festiva.


 

Hoy es la solemnidad de la Ascensión al cielo de nuestro Señor y Salvador.

En el evangelio que hemos escuchado no se habla de Ascensión, a lo más, podríamos decir que se trata de una despedida y que esta es única en su género.

Cristo dice claramente: “Y sabed que yo estoy con vosotros todos los días, hasta el final de los tiempos” (Mt 28, 20).

De hecho, en este tiempo de pascua, Cristo nos ha manifestado la vida nueva, es decir, la vida de resucitado, y ha puesto la relación de amor en el corazón de nuestra nueva existencia en Él, es decir, de nuestra vida en Cristo; de nuestra vida de bautizados. La relación de “hijos en el Hijo” con el Padre: esta es la novedad de nuestra existencia.

De hecho, Él decía: Voy al Padre y vengo a ustedes. Voy al Padre, viniendo a ustedes (Cf. Gv 14, 12.18).

Y la Solemnidad de hoy afirma su regreso al Padre y, que aún así, permanece con nosotros “todos los días hasta el final de los tiempos” (Mt 28, 20), cuando Él con el Padre se manifestará como “todo en todos” (Cf. 1 Cor 15, 28).

En esta despedida nos encomienda una misión muy interesante.

Cristo resucitado no llama, más bien, envía.

Al inicio de su misión llama a que lo sigan, a estar con Él, pero después de la resurrección nos envía a anunciar y a dar testimonio.

En la Pascua la mayoría de los discípulos lo abandonan. Él los había llamado para “estar con Él”, pero cuando entra en el Triduo Pascual lo abandonan.

Después de la Resurrección Él no llama sino envía.

Al inicio envía solo aquellos, de hecho, “aquellas” que permanecieron con él, como envió a María Magdalena a llevar la noticia a sus hermanos, es decir, a los hermanos de Cristo.

Incluso el evangelista Mateo en el mismo capítulo del pasaje que leímos hoy, escribe el encuentro de las mujeres con Cristo resucitado, cómo lo reconocen, adoran y reciben de Él la misión: “no temáis: id a comunicar a mis hermanos que vayan a Galilea; ahí me verán” (Mt 28, 9-10).

Evidentemente no es suficiente verlo. Es más, escuchamos que “ellos dudaron” (Mt 28, 17).

Se necesita la fe; acoger el verdadero don que es su persona.

Acoger a Cristo Jesús Hijo de Dios “verdadero Dios y verdadero hombre”, para poder participar a su misma vida.

La misión de hecho, como explica muy bien Alexander Schmemann, tiene su fundamento en la experiencia de la Pascua, en el paso al Reino del Padre en los cielos.

La fe nos hace entrar en Cristo, es decir, en el cumplimiento del Amor, que el Espíritu Santo vierte en nuestros corazones (Cf. Rm 5, 5).

Cristo es la vía; Cristo es el modo en el cual se realiza el Amor, y este Amor no está en nuestra naturaleza, si no nos lo regala el Espíritu Santo.

¿Y cómo se realiza?

Ciertamente no depende de nuestra visión o nuestras ideas, sino que es Cristo la plena realización del Amor entre Dios y el hombre y entre el hombre y Dios.

Se trata de participar al modo de la realización del Amor.

Este es el paso de una fe simplemente pensada según nuestros criterios a una fe viva y fecunda.

Participando a la vida de Cristo se participa en su modo de realizar el Amor, que es el don recibido. No soy yo que me autorrealizo, sino que es el don recibido y acogido el que me realiza, y el modo de realizar el Amor es el Triduo Pascual.

De hecho, a los discípulos de Emaús Cristo reprocha la “insensatez”, es decir, una inteligencia que no razona según Dios y la “lentitud de corazón”, porque se quedaron parados en la muerte, en el fracaso (cf. Lc 24, 25-27)

Es más, a los ojos del mundo, Cristo era un fracasado. Es aquí que se ve la diferencia entre la religión y la fe eclesial.

No teniendo una experiencia, sin la cual no se tiene una inteligencia que se renueva constantemente en Cristo (cf Rm 12, 2), no se puede ver más allá de la muerte y se empieza a filosofar o idealizar una manera de superar la muerte.

El camino más fácil es ciertamente el de la razón autorreferencial que consiste en pensar un mundo ideal según una idea religiosa y actuar según esta idea.

Según esta segunda visión, al final de la vida cada uno recibirá una recompensa, es más, mejor dicho, cada uno será pagado con la entrada a la vida eterna según sus esfuerzos morales y sus sacrificios religiosos. Ya que me he esforzado, debo ser pagado con la vida eterna. Esto hace olvidar la vida en el Espíritu Santo y la sabiduría espiritual.

De este modo, siguen surgiendo teorías y metodologías, pero se va perdiendo la sabiduría del Espíritu. Nos sentimos más cómodos hablando de nuestra autorrealización, pero sin poder evitar el trasfondo soberbio, porque no tenemos una experiencia en Cristo en virtud de la cual creemos que la realización del hombre es el don gratuito de sí mismo, es decir, perder la vida por el Señor.

Esto ya no forma parte de nuestro anuncio y testimonio (cf Mc 8, 35). ¿Qué estamos proponiendo hoy a las personas, al mundo de hoy? ¿En qué consiste la novedad del anuncio cristiano si somos iguales al mundo y con el mundo vemos la tumba y el fin de la vida tratando de averiguar cómo ir más allá?

En nosotros no se nota que hayamos hecho el paso de la muerte a la vida, que hemos resucitado y salido de la tomba, es decir, de la piscina bautismal. Esta es la tragedia del cristianismo contemporáneo.

Discutimos entre nosotros y el mundo también discute con nosotros sobre diferentes ideas pero parece que ninguno ve el testimonio de los cristianos, es decir, que nosotros seamos capaces de hacer ver cómo se vive más allá de la tumba.

Incluso devociones como el vía crucis, si no son vividas adecuadamente pueden prestarse a ser expresión de una espiritualidad que termina con la muerte, y el entierro. Pero no es posible separar la pasión y muerte de Cristo de aquello que es su sentido: la redención del hombre hecho hijo de Dios Padre que en el bautismo despierta como resucitado. La misión consiste en el testimonio que anuncia que el cumplimiento de la cruz es la resurrección, que el hombre se realiza a través de la vida que está constituida como relación de amor.

El hombre se realiza solo relacionalmente, y relación significa estar fundado en el amor.

Es a través del don de sí mismo que el hombre se realiza. Esto significa morir a sí mismo, afirmándose con la propia negación (cf. Mt 16, 24). Es necesario morir a esta fijación y esto es lo que significa ir más allá de la tumba. Es justo muriendo a sí mismo que se va más allá de la tumba.

Esto no es una cuestión de inteligencia y argumentación intelectual sino de un testimonio de la propia vida. Entonces la misión es dar testimonio de este paso de la muerte a la vida, es ver el morir y la muerte ya como resucitados. La realización del amor es el triduo pascual. De hecho, la liturgia del triduo pascual muestra que la liturgia eucarística del jueves santo – la de la Última Cena – se concluye con la liturgia eucarística del sábado santo. Hay una unidad indisoluble del jueves santo al sábado santo, porque aquello que revela el misterio es la mañana del domingo, el día de la resurrección. No es posible separarlas en ningún modo. Solo a través de la unidad de este misterio, solo a partir del resucitado se puede comprender el sentido del viernes santo. Es justo el triduo pascual actual, así como ha sido articulado al interno de la reforma postconciliar, acogiendo la renovación comenzada por Pío XII, que deja que esto sea visible.

La eucaristía hace referencia a la última cena, es decir, al jueves santo. La última cena no solo contiene, sino que manifiesta el ingreso en el reino a través del don de sí, la sangre vertida de Cristo. Cada eucaristía nos hace realizar el paso pascual donde se recibe un conocimiento, a través de la inteligencia de la vida nueva, de que el sentido del sacrificio de Cristo, el don de sí, es resucitar como hijos y conocer al Padre. De la eucaristía recibimos la misión, inmersos en la experiencia del Resucitado, como hijos en el Hijo, en el Amor del Padre. Entonces nuestra misión surge de esta visión, de la experiencia de la resurrección.

SEMILLAS es una publicación del Centro Aletti disponible todos los viernes. Cada semana, además del audio de la homilía dominical, estará disponible en el sitio de LIPA un comentario a las lecturas de la Liturgia del Domingo, como así también a las lecturas de la semana.


 

Danes je slovesni praznik vnebohoda našega Gospoda in Odrešenika. V evangeliju, ki smo ga slišali, ni govora o vnebohodu. V najboljšem primeru lahko rečemo, da gre za slovo, pa še to za neke vrste slovo. Kristus jasno reče: »In glejte: jaz sem z vami vse dni do konca sveta« (Mt 28,20). V tem velikonočnem času nam je namreč Kristus razložil novo življenje, to je življenje, ki ga živi kot Vstali, in je odnos ljubezni postavil v srce našega novega bivanja v Njem, to je našega življenja v Kristusu, našega krstnega življenja, odnosa kot »sinovi v Sinu« z Očetom. To je novost našega bivanja. On namreč reče: Grem k Očetu in pridem k vam (prim. Jn 14,2.18). Današnji slovesni praznik potrdi njegovo vrnitev k Očetu in njegovo ostajanje z nami vse dni »do konca sveta« (Mt 28,20), ko se bo z Očetom razodel kot »vse v vsem« (1 Kor 15,28).

Ob tem slovesu nam izroči zelo zanimivo poslanstvo. Kristus kot Vstali ne pokliče, ampak pošlje. Na začetku svojega poslanstva pokliče, da mu sledijo, da so z njim. Po vstajenju pa nas pošilja oznanjat in pričevat. Na veliko noč ga večina učencev zapusti. Poklical jih je, da bi »bili z njim«, ko pa vstopi v velikonočno tridnevje, ga zapustijo. Zdaj, po vstajenju, ne kliče več, ampak pošlje. Na začetku pošlje samo tiste, ki so ostali z njim, in to so bile žene. Na primer Marijo Magdaleno pošlje, da ponese oznanilo njegovim bratom.

Tudi Matej v poglavju, iz katerega je vzet današnji odlomek, pokaže ženi, ki srečata Vstalega, ga prepoznata, ga počastita in prejmeta poslanstvo: »Ne bojta se! Pojdita in sporočita mojim bratom, naj gredo v Galilejo; tam me bodo videli« (Mt 28,9-10). Očitno ni dovolj videti ga. Slišali smo namreč, da »so dvomili« (Mt 28,17). Potrebno je verovati, sprejeti resnični dar, ki je njegova oseba: sprejeti Jezusa Kristusa Božjega Sina, »pravega Boga in pravega človeka«, da bi bili udeleženi pri njegovem življenju.

Kot zelo dobro razloži Alexander Schmemann, ima poslanstvo svoj temelj v izkušnji velike noči, v prehodu v kraljestvo nebeškega Očeta. Vera nas soudeleži pri Kristusu, to je pri izpolnitvi ljubezni, ki jo Sveti Duh izliva v naša srca (prim. Rim 5,5). Kristus je pot, Kristus je način, kako se uresničuje ljubezen in ta ljubezen ne izhaja iz naše narave, ampak nam jo podarja Sveti Duh. Kako se uresničuje? Ni odvisna od naše vizije in naših idej, ampak je Kristus polna uresničitev ljubezni med Bogom in človekom, med človekom in Bogom. Gre za to, da smo udeleženi pri načinu uresničevanja ljubezni. To je razlika med živeto vero in vero v mislih. Ko smo udeleženi pri Kristusu, smo udeleženi pri njegovem načinu uresničevanja ljubezni, ki je prejeti dar. Nisem jaz tisti, ki se uresničujem, ampak me uresničuje prejeti in sprejeti dar; ljubezen pa se uresničuje na način velikonočnega tridnevja.

Emavškima učencema Kristus očita »nespamet«, to je: pamet, ki ne razmišlja po Bogu, in »počasnost srca«, ker sta se ustavila pri smrti, pri polomiji (prim. Lk 24,25-27). V očeh sveta je namreč Kristus propadel. Tukaj se vidi klasična razlika med religijo in vero Cerkve. Če človek nima izkušnje – in potemtakem uma, ki se nenehno obnavlja v Kristusu (prim. Rim 12,2) –, potem se ustavi pri smrti in začne filozofirati in idealizirati, kako priti onkraj smrti. Najlažja pot je zagotovo pot vase zagledanega razuma, ki razmišlja o idealnem svetu, v skladu z religiozno idejo, in deluje v skladu s to idejo.

Po tej viziji je človek ob koncu življenja nagrajen, še več, »plačan« z večnim življenjem za svoj moralistični trud, za svoje religiozne žrtve. Ker sem se trudil, zdaj prejmem nagrado večnega življenja. Zaradi tega pa pozabi na življenje v Svetem Duhu in na duhovno modrost. Duhovna modrost se je povsem izgubila. Vsi smo priče, da si nenehno sledijo različne teorije in metodologije, izgublja pa se modrost Svetega Duha. Raje govorimo o samouresničevanju, vendar kot neumni, saj nimamo izkušnje v Kristusu, da je uresničenje človeka v zastonjskem darovanju samega sebe, to je: v izgubljanju lastnega življenja zaradi Gospoda. Tega ni več v našem sporočilu in pričevanju (prim. Mr 8,35). Kaj predlagamo danes ljudem, današnjemu svetu? V čem je novost krščanskega oznanila, če smo enaki svetu, in s svetom gledamo proti grobu, proti koncu ter iščemo, kako bi šli onkraj? V nas ni videti, da smo že šli onkraj, da smo že vstali iz groba, to je iz krstnega studenca. To je tragedija sodobnega krščanstva. Razpravljamo, pa tudi svet razpravlja z nami, o idejah, zdi pa se, da nihče ne vidi pričevanja kristjanov, to je: da smo sposobni pokazati, kako se živi onkraj groba. Tudi pobožnosti, kot križev pot, če niso dobro umeščene, so lahko izraz duhovnosti, ki se konča v smrti, to je v pokopu. Vendar Kristusovega trpljenja in smrti ne moremo ločiti od njunega smisla: od odrešenja človeka, ki je postal otrok Boga Očeta in se v krstu prebudil kot vstali človek. Poslanstvo je v tem, da kot priče oznanjamo, da se križ dopolni z vstajenjem in da se človek izpolnjuje skozi življenje, ki sestoji iz odnosa ljubezni.

Človek se izpolni le v odnosu, odnos pa pomeni biti utemeljen v ljubezni. Človek se uresniči preko darovanja samega sebe. To pomeni umirati sebi, odpovedati se sebi kot uveljavljanju sebe (prim. Mt 16,24). Temu je treba umreti, in to pomeni iti onkraj groba. Prav v umiranju sebi gremo preko groba.

To pa ni vprašanje razuma in razumskega argumentiranja, ampak pričevanje osebnega življenja. Poslanstvo je torej pričevati ta prehod, videti smrt in umiranje kot nekdo, ki je že vstal od smrti. Uresničenje ljubezni je velikonočno tridnevje. Liturgija velikonočnega tridnevja dejansko pokaže, da se evharistično bogoslužje velikega četrtka, zadnje večerje, zaključi z evharističnim bogoslužjem velike sobote. Veliki četrtek in velika sobota sta neločljiva celota, kajti to, kar razodene skrivnost, je nedeljsko jutro, dan vstajenja. Na noben način ju ni mogoče ločiti. Samo skozi enotnost te skrivnosti, samo izhajajoč iz Vstalega, razumemo smisel velikega petka. To pokaže sedanja oblika velikonočnega tridnevja, ki jo je obnovil Pij XII in ki smo jo sprejeli znotraj pokoncilske prenove.

Evharistija se nanaša na zadnjo večerjo, to je na veliki četrtek. Zadnja večerja ne le vsebuje, ampak razodeva vstop v kraljestvo preko darovanja sebe, preko Kristusove prelite krvi. Vsaka evharistija nam omogoča velikonočni prehod, kjer spoznavamo preko uma novega življenja, da je smisel Kristusove žrtve, njegovega daru, da vstanemo kot otroci in spoznamo Očeta. Od evharistije pridemo s poslanstvom, ki nam ga je zaupala izkušnja Vstalega, kot sinovi v Sinu, v Očetovi ljubezni. Naše poslanstvo torej izhaja iz te vizije, iz izkušnje vstajenja.

SEMENA je rubrika centra Aletti, ki je na voljo vsako soboto (v italijanščini že v petek). Vsak teden bo na spletni strani LIPE poleg nedeljske homilije v zvočni obliki (v italijanščini) na voljo tudi poglobitev Božje besede nedeljske ali praznične svete maše.