Approfondimento delle letture della liturgia
Profundización de las lecturas de la liturgia
Poglobitev Božje besede

[SEMI] XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A) 2

ITALIANO

Nella seconda lettura della liturgia odierna, Paolo dice che, mentre eravamo deboli. “Cristo morì per gli empi” (Rm 5,6).

Il termine “deboli” è l’esatto contrario di quanto Paolo dice di Abramo, il quale “non vacillò nella fede” (Rm 4,19), anche se “aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara”.

Ciò vuol dire che da soli non possiamo fare niente, tantomeno possiamo superare la nostra condizione umana. Ci vuole la fede.

La debolezza significa quindi l’assenza di fede.

Noi eravamo impotenti “mentre Cristo moriva per gli empi” (Rm 5,6).

È molto forte questa parola.

Noi eravamo senza fede, mentre Cristo “moriva per gli empi”, cioè per quelli che non hanno fede.

Nel tempo stabilito, cioè “consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio” (At 2,23).

Questo tempo stabilito corrisponde al “disegno prestabilito e alla prescienza di Dio”, cioè del Padre.

Sulla storia c’è un disegno, non esiste il caso.

C’è in atto un disegno del Padre, e il disegno del Padre è l’amore per il mondo. Infatti, Dio “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

La perdizione è l’assenza della vita e la vita è una sola, quella eterna, il resto è la perdizione.

Paolo dice che “Cristo morì per i nostri peccati” (1Cor 15,3) e che “Cristo è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe” (Rm 4,25).

Ma evidentemente è cosciente che questo può essere frainteso, pensando un sacrificio a Dio, come se Dio facesse attraverso il Figlio un sacrificio per noi a sé stesso.

Paolo dice che “Dio giustifica l’empio” (Rm 4,5), e questo è esattamente l’opposto di ciò che afferma l’Antico Testamento: “A Dio sono ugualmente in odio l’empio e la sua empietà” (Sap 14,9) e “il castigo dell’empio sono fuoco e vermi” (Sir 7,17).

Questo potrebbe indurre a pensare che Cristo stia facendo un sacrificio a Dio per l’empio, perché l’empio non fa sacrifici a Dio. Il concetto di sacrificio nel Levitico viene introdotto nella Bibbia greca dei LXX con perì, e non con yper. Nel Levitico cioè si tratta del sacrificio riguardo a quella cosa, a quel peccato, cioè il sacrificio è riguardo a una cosa, e va fatto verso Dio.

Invece qui, con yper, abbiamo un orientamento radicale alle persone, quindi per le persone e non per le loro questioni.

Cristo “morì per noi”, “per voi” (cf Rm 5,8; 8,31; 1Ts 5,10), morì “per tutti noi” (Rm 8,32).

C’è poi quella bellissima parola personale di Paolo: “ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20 e Gal 3,13).

Questo porta all’identificazione che Paolo fa in questo brano della seconda lettura di oggi: “per gli empi” (Rm 5,6) e “per noi” (Rm 5,8; 1Ts 5,10). Questa morte cambia totalmente le persone, dà loro la possibilità di un’altra esistenza.

Da una vita orientata a se stessi si scopre che si è orientati a “Colui che è morto per noi”. Non si vive più illudendosi che si è da soli il fondamento della propria vita, ma si scopre che è per Cristo che si ha la vita.

“L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2Cor 5,14-15).

Morti con lui morto, ci ha fatti partecipi della sua morte (cf Rm 6,3; 6,4; 6,6) per vivere con lui da risorti (cf Rm 6.5; 6,11).

Viventi per Dio in Cristo, perché “così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).

Paolo dice che Cristo in persona, come Figlio di Dio, si dona a noi uomini, mentre siamo totalmente inconsistenti nella capacità relazionale e nel dono di noi stessi.

È un donare la vita attraverso il morire, e ciò è molto interessante.

Questo lo troviamo già in Grecia, in epoca classica. Ad esempio Platone dice che “solo coloro che amano sono disposti a morire per gli altri”.

Ma per questi altri si intendevano i grandi, i benefattori, gli eroi della patria, gli amici…

Così anche nell’Antico Testamento troviamo che si può morire per chi è bravo e fa cose buone per noi (cf Is 43,4; 1Mac 2,50).

Si può morire per una persona buona, per amicizia.

Giovanni lo sintetizza molto bene: “nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici” (Gv 15,13).

Ma il brano di Paolo che troviamo oggi nella liturgia va ben oltre questo.

Qui Paolo fa vedere che Cristo è totalmente unico, perché è morto per dei nemici (cf Rm 5,10), è “morto per gli empi” (Rm 5,6). Poi dice “è morto per noi” (Rm 5,6), cioè per Paolo e per i suoi ascoltatori.

È fortissima questa parola.

Questo amore rivela l’amore del Padre per i peccatori.

Il Padre sacrifica suo Figlio e lo dona per i peccatori. Esattamente il contrario della mentalità religiosa cultuale, dove siamo noi a fare un culto a Dio.

No, il Padre sacrifica suo Figlio per i peccatori (cf Rm 8,32).

È la stessa morte, è l’amore del Padre per lo stesso Cristo, suo Figlio (cf Ef 1,6; Col 1, 13). Allo stesso tempo, questo amore è l’amore personale di Cristo per i peccatori.

È sempre questa parola molto personale (cf Gal 2,20; Ef 5,2; Ef 5,25). È anche l’amore di Cristo per suo Padre: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34).

Quando si compie l’amore di Dio, il vuoto, il peccato dell’uomo spariscono, perché il vuoto dell’ego gonfiato si riempie d’amore.

Infatti, “dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20).

L’amore chiede accoglienza, ma è vero che si può manifestare anche proprio nell’essere rifiutato.

Alexander Schmemann dice in modo magistrale che la crocifissione manifesta questo rifiuto del dono.

Nel Vangelo di oggi Cristo parla della compassione che muove verso il dono di sé. “Vedendo le folle ne sentì compassione” (Mt 9,36).

Vedendo l’altro si muove in Cristo la compassione e, da quel momento, ciò che l’altro sperimenterà lo unirà a Cristo.

Le cose che stanno cambiando nella nostra vita, dalla morte verso la vita, diventano le cose che sono di Cristo, unite a Cristo.

Il cuore della nostra fede è la vita di Dio che il Padre offre agli uomini.

La vita di Dio in noi è il cuore della nostra fede, non le tante piccole cose religiose che si raccomandano di fare, sempre con questa logica mercantile. “Fare questo per…”, “recitare questa preghiera per…”.

La nostra missione è essere mietitori e non operai con tante cose da inventare, e dando vita ad una pastorale che non c’entra con la vita che in Cristo ci viene donata.

Questo è un problema molto serio.

Gli operai sono mietitori e non operai che lavorano dalla primavera fino all’autunno, no sono mietitori nei campi maturi.

Non si tratta di inventare una pastorale attivista che gestisce tutta la vita dell’uomo, bensì semplicemente di travasare nell’uomo la vita nuova.

“Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Rm 5,10).

La salvezza dopo il Battesimo avviene “mediante la sua vita” e non su ciò che noi ci proponiamo di fare, facendo leva su noi stessi.

 

SEMI è la rubrica del Centro Aletti disponibile ogni venerdì.
Ogni settimana, oltre all’omelia della domenica in formato audio, sarà disponibile sul sito LIPA un approfondimento delle letture della liturgia eucaristica domenicale o festiva.


 

ESPAÑOL

En la segunda carta de la liturgia de hoy, Pablo dice que, mientras éramos débiles, “Cristo murió por los impíos” (Rm 5,6).

El término “débiles” es el estado contrario de aquel cuando Pablo dice de Abraham, el cual “no vaciló en la fe” (Rm 4:19), aunque “tenía entorno a cien años- y muerto el seno de Sara”.

Es necesario decir que solos no podemos hacer nada, aún menos podemos superar nuestra condición humana. Se requiere la fe.

La debilidad significa, por tanto, la ausencia de fe.

Nosotros éramos impotentes “mientras Cristo moría por los impíos” (Rm 5,6).

Es muy potente esta palabra.

Nosotros éramos sin fe, mientras Cristo “moría por los impíos”, es decir por aquellos que no tienen fe.

En el tiempo establecido, es decir “entregado a vosotros conforme al plan que Dios tenía establecido y previsto” (Hch 2,23).

Este tiempo establecido corresponde al “plan establecido y previsto por Dios”, es decir del Padre.

Sobre la historia hay un diseño, no existe la casualidad.

Hay un acto de diseño del Padre, el diseño del Padre es el amor por el mundo. De hecho, Dios “tanto amó Dios al mundo, que entregó a su Unigénito, para que todo el que cree en él no perezca, sino que tenga vida eterna” (Jn 3,16).

La perdición es la ausencia de la vida y la vida es solo una, la eterna, el resto es perdición.

Pablo dice que “Cristo murió por nuestros pecados (1Cor 15,3) y que “Cristo fue entregado a la muerte a causa de nuestras culpas” (Rm 4,25).

Pero evidentemente es consciente de que esto puede ser malentendido, pensado un sacrificio a Dios, como si Dios hiciese a través del Hijo un sacrificio para nosotros a sí mismo.

Pablo dice que “Dios justifica al impío” (Rm 4,5), y esto es exactamente lo opuesto a lo que afirma el Antiguo Testamento: “Dios aborrece igualmente al impío y su impiedad” (Sab 14,9) y “el castigo del impío es fuego y gusanos” (Ecl 7,17).

Esto podría inducir a pensar que Cristo este haciendo un sacrificio a Dios por el impío, porque el impío no hace sacrificios a Dios. El concepto de sacrificio en el Levítico es introducido en la Biblia griega de los LXX con perì, y no con yper. En el Levítico se trata del sacrificio en referencia a aquella cosa, a aquel pecado, es decir el sacrificio es en miras a una cosa y va hecho hacia Dios.

Sin embargo aquí, con yper, tenemos una orientación radical a la persona, por lo tanto para las personas y no para sus asuntos.

Cristo “murió por nosotros”, “por vosotros” (cf. Rm 5,8; 8,31; 1Ts 5,19), murió “por todos nosotros” (Rm 8,32).

Está también esta bellísima palabra persona de Pablo “se entregó a sí mismo por mí” (Gal 2,20 y Gal 3,13).

Esto conduce a la identificación que Pablo hace en este pasaje de la segunda lectura de hoy “por los impíos” (Rm 5,6) y “por nosotros” (Rm 5,8; 1Ts 5,10). Esta muerte cambia totalmente las personas, les da la posibilidad de una nueva existencia.

De una vida orientada a sí mismo se descubre que se está orientado a “Aquel que murió por nosotros”. Ya no se vive más creyendo que uno solo es el fundamente de la propia vida, sino que se descubre que por Cristo que se tiene la vida.

“Porque nos apremia el amor de Cristo al considerar que, si uno murió por todos, todos murieron. Y Cristo murió por todos, para que los que viven ya no vivan para sí, sino para el que murió y resucitó por ellos”. (2Cor 5, 14-15).

Muertos con el muerto, nos ha hecho partícipes de su muerte (cf. Rm 6,3; 6,4; 6,6) para vivir con el como resucitados (cf. Rm 6,5; 6,11).

Vivos por Dios en Cristo, para que “así también nosotros podamos caminar en una vida nueva” (Rm 6,4).

Es un donar la vida a través del morir, y esto es muy interesante.

Esto lo encontramos ya en Grecia, en la época clásica. Por ejemplo, Platón dice que “solo aquellos que aman están dispuestos a morir por los demás”.

Pero por “los demás” se entendía los grandes, los bienhechores, los héroes de la patria, los amigos…

También así en el Antiguo Testamente encontramos que se puede morir por quien es bueno y hace cosas buenas para nosotros (cf. Is 43,4; 1Mac 2,50).

Se puede morir por una persona buena, por amistad.

Juan lo sintetiza muy bien “ninguno tiene amor más grande que aquel que da la vida por sus amigos” (Jn 15,13).

Pero el pasaje de Pablo que encontramos hoy en la liturgia va más allá de esto.

Aquí Pablo hace ver que Cristo es totalmente único, porque ha muerto por los enemigos (cf. Rm 5,10), ha “muerto por los impíos” (Rm 5,6). Después dice “ha muerto por nosotros” (Rm 5,6), es decir por Pablo y por sus oyentes.

Es fuertísima esta palabra.

Este amor revela el amor del Padre por los pecadores.

El Padre sacrifica a su Hijo y lo da por los pecadores. Exactamente lo contrario de la mentalidad religiosa cultural, donde somos nosotros los que hacemos un culto a Dios.

No, el Padre sacrifica a su Hijo por los pecadores (cf. Rm 8,32).

Es la misma muerte, es el amor del Padre por el mismo Cristo, su Hijo (cf. Ef 1,6; Col 1,13). Al mismo tiempo, este amor es el amor personal de Cristo por los pecadores.

Es siempre esta palabra muy personal (cf. Gal 2,20; Ef 5,2; Ef 5,25). Es también el amor de Cristo por su Padre “Mi alimento es hacer la voluntad del que me envió y llevar a término su obra” (Jn 4,34).

Cuando el amor de Dios se cumple, el vacío, el pecado del hombre desaparece, porque el vacío del ego inflado se rellena de amor.

De hecho, “donde abundó el pecado sobreabundó la gracia” (Rm 5,20).

El amor pide acogida, pero es verdad que se puede manifestar también precisamente en el ser rechazado.

Alexander Schmemann dice de modo magistral que la crucifixión manifiesta este rechazo del don.

En el Evangelio de hoy, Cristo habla de la compasión que mueve hacia el don de si mismo. “Viendo la muchedumbre sintió compasión de ella” (Mt 9,36).

Viendo al otro se mueve en Cristo la compasión y, desde ese momento, pasan a ser las cosas que son de Cristo, unidas a Cristo.

El corazón de nuestra fe es la vida de Dios que el Padre ofrece a los hombres.

La vida de Dios en nosotros es el corazón de nuestra de, no tantas pequeñas cosas religiosas que se nos recomienda hacer, siempre con esta lógica mercantil. “Hacer esto para…”, “recitar esta oración para…”.

Nuestra misión es ser segadores y no obreros con tantas cosas que inventar, dando vida a una pastoral que no tiene nada que ver con la vida que en Cristo nos es donada.

Esto es un problema muy serio.

Los obreros son segadores y no jornaleros que trabajan de la primavera hasta el otoño; son segadores en campos maduros.

No se trata de inventar una pastoral activista que gestiona toda la vida del hombre, sino simplemente de derramar en el hombre la vida nueva.

“Si, cuando éramos enemigos, fuimos reconciliados con Dios por la muerte de su Hijo, ¡con cuánta más razón, estando ya reconciliados, seremos salvados por su vida!” (Rm 5,10).

La salvación después del Bautismo viene “mediante su vida” y no sobre lo que nosotros nos proponemos de hacer, apalancándonos sobre nosotros mismos.

 

SEMILLAS es una publicación del Centro Aletti disponible todos los viernes. Cada semana, además del audio de la homilía dominical, estará disponible en el sitio de LIPA un comentario a las lecturas de la Liturgia del Domingo, como así también a las lecturas de la semana.


 

SLOVENŠČINA

V današnjem drugem berilu Pavel pravi, da je takrat, ko smo bili še slabotni, »Kristus umrl za brezbožne« (Rim 5,6).

Izraz »slabotni« je povsem nasproten temu, kar pravi Pavel o Abrahamu, da »se mu vera ni omajala« (Rim 4,19), čeprav »je imel nekako sto let, in je Sari naročje omrtvelo.«

To pomeni, da sami ne moremo storiti ničesar, kaj šele, da bi premagali svoje človeško stanje. Potrebna je vera.

Slabotnost torej pomeni odsotnost vere.

Ko smo bili nemočni, je Kristus »umrl za brezbožne« (Rim 5,6).

Ta beseda je zelo močna.

Ko smo bili brez vere, je Kristus »umrl za brezbožne«, torej za tiste, ki nimajo vere.

V določenem času »so njega – prav kakor je Bog hotel in predvideval – izročili vam« (Apd 2,23).

Ta določeni čas ustreza temu »kakor je hotel in predvideval Bog«, to je: Oče.

V zgodovini obstaja načrt, naključja ni.

Obstaja Očetov načrt. In Očetov načrt je ljubezen do sveta. »Bog je namreč svet tako vzljubil, da je dal svojega edinorojenega Sina, da bi se nihče, kdor vanj veruje, ne pogubil, ampak bi imel večno življenje« (Jn 3,16).

Pogubljenje je odsotnost življenja. Življenje pa je eno samo, večno življenje, vse drugo je pogubljenje.

Pavel pravi, da je »Kristus umrl za naše grehe« (1 Kor 15,3) in da je bil Kristus »izročen v smrt zaradi naših prestopkov« (Rim 4,25).

Očitno pa se zaveda, da se to lahko narobe razume in se ima v mislih žrtev Bogu, kakor da bi Bog po svojem Sinu opravil žrtev za nas samemu sebi.

Pavel pravi, da Bog »opravičuje brezbožneža« (Rim 4,5). To pa je povsem nasprotno temu, kar pravi Stara zaveza: »Bogu sta enako zoprna brezbožnik in njegova brezbožnost« (Mdr 14,9) in »kazen za brezbožne sta ogenj in črv« (Sir 7,17).

To bi nam lahko dalo misliti, da Kristus opravlja žrtev Bogu za brezbožneža, ker brezbožnež ne žrtvuje Bogu. V prvem grškem prevodu Svetega pisma (Septuaginta) je v Tretji Mojzesovi knjigi pojem žrtve izražen s perì in ne z yper. To pomeni, da gre v Tretji Mojzesovi knjigi za žrtvovanje v zvezi z določeno stvarjo, z določenim grehom: se pravi, da žrtvovanje zadeva neko stvar in da se žrtev opravlja Bogu.

Tukaj pa imamo z izrazom yper korenito usmerjenost k ljudem, se pravi, da se žrtvuje za ljudi in ne za njihove zadeve.

Kristus »je umrl za nas«, »za vas« (prim. Rim 5,8; 8,31; 1 Tes 5,10), »za vse nas« je umrl (Rim 8,32).

Sledi čudovita Pavlova osebna beseda: »Je daroval zame sam sebe« (Gal 2,20).

Pavel to enako pove v današnjem drugem berilu: »za brezbožne« (Rim 5,6) in »za nas« (Rim 5,8; 1 Tes 5,10). Ta smrt ljudi povsem spremeni, saj jim daje možnost drugačnega obstoja.

Iz življenja, usmerjenega k sebi, odkrijemo, da smo usmerjeni »k Njemu, ki je umrl za nas«. Ne živimo več v iluziji, da smo sami sebi temelj življenja, ampak, da imamo življenje po Kristusu.

»Kristusova ljubezen nas stiska, saj smo presodili takole: eden je umrl za vse in zato so umrli vsi. Za vse pa je umrl zato, da tisti, ki živijo, ne bi živeli več zase, ampak za tistega, ki je zanje umrl in bil obujen« (2 Kor 5,14-15).

Mrtvi z njim, ki je umrl in nas naredil deležne njegove smrti (prim. Rim 6,3; 6,4; 6,6), da bi živeli z njim kot vstali (prim. Rim 6,5; 6,11).

Živi za Boga v Kristusu, da bi »tudi mi stopili na pot novosti življenja« (Rim 6,4).

Pavel pravi, da se Kristus osebno kot Božji Sin daruje nam ljudem, medtem ko smo mi popolnoma nestanovitni v odnosu in darovanju samih sebe.

Gre za darovanje življenja preko umiranja, in to je zelo zanimivo.

To najdemo že v Grčiji, v obdobju klasike. Na primer Platon pravi, da »so samo tisti, ki ljubijo, sposobni umreti za druge.«

Toda za te »druge« je smatral velike osebnosti, dobrotnike, narodne heroje, prijatelje …

Tako tudi v Stari zavezi najdemo, da se lahko umre za tistega, ki je dober in nam dela dobro (npr. Iz 43,1; 1 Mkb 2,50).

Za dobrega človeka, za prijatelja je mogoče umreti.

Janez zelo dobro povzame: »Nihče nima večje ljubezni, kakor je ta, da dá življenje za svoje prijatelje« (Jn 15,13).

Pavlov odlomek v današnji Božji besedi pa gre mnogo dlje od tega.

Tu Pavel pokaže, da je Kristus popolnoma edinstven, saj je umrl za sovražnike (prim. Rim 5,10) in »za brezbožne« (Rim 5,6). Potem pravi: »za nas« (Rim 5,6), to je za Pavla in njegove poslušalce.

Ta beseda je zelo močna.

Ta ljubezen razodeva Očetovo ljubezen do grešnikov.

Oče žrtvuje svojega Sina in ga daruje za grešnike. Popolnoma nasprotno od kultne religiozne miselnosti, kjer mi opravljamo žrtve Bogu.

Ne, Oče žrtvuje svojega Sina za grešnike (prim. Rim 8,32).

Gre za Očetovo ljubezen do Kristusa, njegovega Sina (prim. Ef 1,6; Kol 1,13). Hkrati je ta ljubezen osebna Kristusova ljubezen do grešnikov.

Ta beseda je vedno zelo osebna (prim. Gal 2,20; Ef 5,2; Ef 5,25). In vedno je tudi Kristusova ljubezen do njegovega Očeta: »Moja hrana je, da uresničim voljo tistega, ki me je poslal, in dokončam njegovo delo« (Jn 4,34).

Ko izpolnjujemo Božjo ljubezen, izgineta človekova praznina in greh, saj se praznina napihnjenega jaza napolni z ljubeznijo.

Kjer se je pomnožil greh, se je namreč »še veliko bolj pomnožila milost« (Rim 5,20).

Ljubezen želi biti sprejeta, vendar je res, da se lahko razodene prav takrat, ko je zavrnjena.

Alexander Schmemann mojstrsko pove, da križanje razodeva to zavrnitev daru.

V današnjem evangeliju Kristus govori o sočutju, ki človeka nagiba k darovanju sebe. »Ko je zagledal množice, so se mu zasmilile« (Mt 9,36).

Ko je zagledal drugega, se je v Kristusu zganilo sočutje. Od tega trenutka dalje bo drugega to, kar bo občutil, združilo s Kristusom.

Stvari, ki se v našem življenju spreminjajo iz smrti v življenje, postanejo Kristusove stvari, združene z njim.

Srce naše vere je Božje življenje, ki ga Oče podarja ljudem.

Srce naše vere je Božje življenje v nas, in ne mnogo majhnih religioznih stvari, ki nam jih svetujejo, vedno s trgovsko logiko: »naredi to za …«, »zmoli to molitev za …«.

Naše poslanstvo je, da smo žanjci in ne delavci, ki naj bi iznašli mnogo stvari in dali življenje pastorali, ki nima nič skupnega z življenjem, ki nam je podarjeno v Kristusu.

To je zelo resen problem.

Delavci so žanjci in ne delavci, ki bi delali od pomladi do jeseni. Ne, žanjci na zrelih poljih so.

Ne gre za to, da bi iznašli aktivistično pastoralo, ki upravlja celotno človekovo življenje, ampak, da bi preprosto človeku posredovali novo življenje.

»Kajti če smo se po smrti njegovega Sina spravili z Bogom, ko smo bili še sovražniki, bomo veliko bolj rešeni po njegovem življenju, odkar smo prišli do sprave« (Rim 5,10).

Po krstu se odrešenje zgodi »po njegovem življenju« in ne po tem, kar si zadamo, da bomo storili in pritiskamo sami nase.

 

SEMENA je rubrika centra Aletti, ki je na voljo vsako soboto (v italijanščini že v petek). Vsak teden bo na spletni strani LIPE poleg nedeljske homilije v zvočni obliki (v italijanščini) na voljo tudi poglobitev Božje besede nedeljske ali praznične svete maše.